I popoli romanì, generalmente e offensivamente definiti zingari o gitani, sono un insieme di popolazioni accomunate dall’uso della lingua romanì. Essi si stabilirono in Europa nel corso del Medioevo e si sono diffusi in tempi più recenti anche in altri continenti. Tra i principali gruppi romaní in Italia vi sono i rom e i sinti. La disciplina che si occupa di studiare la storia, lingua e cultura dei popoli romaní è la romanologia.
Come è risaputo questa minoranza etnica subisce una fortissima stigmatizzazione sociale, considerata quasi del tutto legittima da una grandissima fetta della popolazione che presenta forti pregiudizi verso questo popolo, venendo definiti spesso “asociali” e “ladri”.
Da Esmeralda de “Il gobbo di Notre Dame” a Naditza di “Mare Fuori” la donna romaní è da sempre rappresentata sensuale e libera, e nella femminilità emerge la sua forza; nel corso della storia costellata dalle persecuzioni nei confronti di queste donne, è proprio una parte di questa femminilità che è stata spesso attaccata, cercando di annullarla e cancellarla con tutti i modi possibili tra cui il più disumano: la sterilizzazione forzata.
La sterilizzazione forzata inflitta alle donne rom e Sinti nel corso della storia è stata una grave violazione dei loro diritti umani e una forma di discriminazione sistematica. Questa pratica ha avuto luogo in diversi paesi europei, in particolare durante il XX secolo, ma atti di questo tipo possono essere trovati sia nei periodi precedenti che, sconvolgentemente , ai giorni nostri.
La sterilizzazione forzata delle donne rom e Sinti era basata su una serie di motivazioni razziali, etniche e sociali. I governi e le istituzioni sanitarie promuovevano questa pratica nella convinzione che la sterilizzazione avrebbe contribuito a ridurre la crescita demografica delle comunità romaní, considerate spesso come gruppi “indesiderabili” o “socialmente problematici”. Si pensava infatti che le donne (come anche gli uomini di questa comunità), non dovessero assolutamente avere gravidanze in quanto portatori di alcuni geni “difettosi”: primo tra tutti il “gene del nomadismo” che veniva ereditato dal bambino direttamente al concepimento e secondo, ma non meno ridicolo, il “gene del furto” che segnava in modo irreversibile l’individuo a diventare un ladro.
Durante il periodo nazista in Germania, la sterilizzazione forzata faceva parte di una politica di eugenetica e di “pulizia razziale”.
La sterilizzazione forzata delle donne rom e sinti veniva eseguita attraverso l’operazione di legatura delle tube (salpingectomia) o la rimozione dell’utero (isterectomia). Queste procedure venivano eseguite senza il consenso informato delle donne e spesso in combinazione con altre forme di persecuzione, come l’internamento nei campi di concentramento.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la pratica della sterilizzazione forzata delle donne romanì è continuata in diversi paesi europei. Ad esempio, in molti paesi dell’Europa orientale, tra cui Repubblica Ceca, Slovacchia e Bulgaria, si sono verificati numerosi casi di sterilizzazione coercitiva. Queste donne venivano sottoposte ad una pratica disumana senza il loro consenso informato o sotto pressioni indebite, spesso a causa di discriminazioni e stereotipi negativi.
La sterilizzazione forzata ha avuto ovviamente conseguenze devastanti per le donne coinvolte. Oltre all’impatto fisico e alla perdita della loro capacità di avere figli, questa pratica ha causato gravi danni psicologici dovuti al fatto di subire una mutilazione genitale così totalizzante e legittimata dall’opinione pubblica.
Nonostante questi casi ci sembrino qualcosa di lontano da noi in termini temporali purtroppo sono più recenti di quanto si possa credere.
Un caso significativo di sterilizzazione forzata che ha ricevuto attenzione internazionale anche grazie al supporto di “Amnesty international” è infatti quello di Elena Gorolova, una donna di origine rom ceca. Nel 1990, Gorolova, all’età di 21 anni, subì un’operazione di sterilizzazione in un ospedale della Repubblica Ceca, senza essere stata adeguatamente informata sulla natura permanente della procedura e senza fornire un consenso libero e informato. Ella si era infatti recata all’ospedale per partorire e dopo aver dato alla luce suo figlio, mentre era ancora in stato confusionale, le fu fatto firmare un foglio. Quando la donna si riprese il personale ospedaliero le disse: “Hai dato alla luce un maschietto e non potrai più avere figli perché sei stata sterilizzata.”
La donna era ovviamente distrutta dal dolore e, facendo delle ricerche, ha scoperto che altri membri della sua comunità avevano avuto esperienze simili. Gorolova quindi ha iniziato a lottare per ottenere giustizia e riconoscimento per ciò che le era accaduto. Nel 2005, ha portato il suo caso davanti alla Corte europea dei diritti umani (CEDU). La CEDU ha esaminato il suo caso e nel 2007 ha emesso una sentenza che ha riconosciuto la violazione dei suoi diritti umani. La Corte ha stabilito che il consenso fornito dalla donna era stato ottenuto in modo ingannevole e che la sterilizzazione forzata costituiva una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, protetto dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani.
La sentenza della Corte europea dei diritti umani nel caso di Elena Gorolova ha avuto un impatto significativo in quanto ha sollevato la consapevolezza sulla questione delle sterilizzazioni forzate delle donne rom in Europa e ha contribuito ad aumentare la pressione sugli Stati membri per affrontare questa violazione dei diritti umani. Ha anche portato alla promulgazione di nuove leggi nella Repubblica Ceca per prevenire le sterilizzazioni forzate e garantire un consenso informato e volontario.
Dal 1980 al 2021 sono state oltre 90 mila le donne rom e sinti sterilizzate in maniera coatta solamente nel territorio Ceco-Slovacco. Ci sono state richieste di giustizia, riparazione (dove possibile) e protezione dei diritti riproduttivi per le donne romanì vittime di queste pratiche. A rigor di ciò il CEDU ha emesso tre condanne per violazione dei diritti dell’uomo nei confronti della Slovacchia e ha ordinato il risarcimento delle vittime.
Negli ultimi decenni, grazie all’impegno delle organizzazioni per i diritti umani e dei movimenti di difesa dei diritti delle minoranze, sono stati compiuti sforzi per denunciare e affrontare questa pratica disumana
È importante sottolineare che la sterilizzazione forzata delle donne rom e sinti è un crimine contro l’umanità. Questo orribile capitolo della storia passata e moderna ha lasciato cicatrici profonde nelle comunità colpite e richiede una riflessione costante per evitare che tali atrocità si ripetano in futuro. Chiediamoci tutti il perché tutto questo sia stato tollerato e nascosto per così tanto tempo e ricordiamoci che frasi come ‘’Gli zingari non dovrebbero avere bambini” o “Dovrebbero portare via i bambini agli zingari” sono pensieri che, in parte, contribuiscono a giustificare e permettere che avvengano ancora oggi queste pericolose pratiche di mutilazione genitale.
Tirocinante: Chiara Troncia
Tutor: Cristiana Sardellitti
Riferimenti:
Amnesty International (2006) “Sterilizzazione coercitiva delle donne rom in Repubblica Ceca”.
Amnesty International (2008) “Sterilizzazione coercitiva delle donne rom in Svezia”.
Balaz M. (2003). “Sterilizzazione forzata delle donne rom: uno studio di caso in Slovacchia”.
Centre on Housing Rights and Evictions,(2004) “Violazione dei diritti umani: sterilizzazione forzata delle donne rom e Sinti”. COHRE.
Xanthaki A. (2006). “Sterilizzazione forzata delle donne rom e Sinti: un’analisi comparativa”
Corte europea: la Slovacchia ancora condannata per la sterilizzazione di donne rom
https://www.amnesty.ch/it/news/2013/repubblica-ceca-sterilizzazioni-fortzate-dei-rom-la-lotta-continua#:~:text=la%20lotta%20continua-,La%20sterilizzazione%20forzata%20di%20donne%20rom%20%C3%A8%20una%20delle%20peggiori,durante%20la%20Seconda%20Guerra%20mondiale
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Popoli_roman%C3%AD