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La gender archaeology (archeologia di genere) nasce durante la seconda ondata del movimento femminista, a partire dal 1984, grazie al lavoro di Margaret W. Conkey e Janet D. Spector, considerate nella comunità archeologica anglosassone come le prime ad applicare gli studi di genere al mondo dell’archeologia.Nel corso del tempo gli archeologi, consapevolmente o no, hanno propagato idee sul genere influenzate dalla cultura di appartenenza che hanno “contaminato” le loro interpretazioni e ricostruzioni del passato. Questo processo non solo mina la plausibilità delle nostre ricostruzioni del passato, ma ha anche serie implicazioni politiche ed educative. L’obiettivo principale dell’archeologia di genere è quello di rivalutare i ruoli di uomini e donne nelle società antiche partendo dallo studio della cultura materiale di queste ultime.

In un podcast molto interessante di “Valigie Blu”, viene riportato un esempio emblematico di questo argomento, il cui titolo è “la guerriera scambiata per un uomo”.
Nel 1889, in Svezia, un archeologo scoprì, durante lo scavo di un villaggio vichingo, la tomba di uno scheletro, vestito di seta intarsiata d’argento, con un corredo che lo identificava come appartenente all’élite guerriera vichinga. Deposte insieme al corpo furono ritrovate armi, frecce, coltelli da battaglia e i resti di due cavalli evidentemente usati in combattimento. Nonostante le dimensioni insolite di mandibola e ossa pelviche, lo scheletro fu identificato come quello di un uomo, proprio per il corredo tombale, e per i successivi 128 anni nessuno mise in dubbio il fatto che potesse trattarsi non di un principe guerriero vichingo, ma di una principessa, vista la sepoltura che fu addirittura considerata un punto di riferimento per lo studio in generale delle tombe maschili di guerrieri vichinghi.

Ad un certo punto però iniziarono a sorgere dubbi sul genere dello scheletro. L’ipotesi che si trattasse di uno scheletro femminile cominciò a circolare: inizialmente per spiegare la presenza di ossa femminili si ipotizzò che nella tomba fossero sepolti due corpi, le cui ossa si erano mischiate nel corso dei secoli, di un uomo, il principe guerriero, e di una donna non identificata, moglie o concubina.
Per sfatare ogni mito, nel 2014 un’archeologa ricercatrice dell’Università di Stoccolma estrasse il DNA dello scheletro e provò che tutte le ossa appartenevano allo stesso individuo, di sesso femminile. Si tratta di una principessa.
D’altronde, la presenza di donne guerriere nella società vichinga è ampiamente documentata anche da fonti letterarie, ma a causa del pregiudizio e del bias cognitivo, gli archeologi, per la maggioranza maschi, avevano considerato questi racconti come pure leggende. Proiettare nel passato i nostri schemi mentali è un errore comune e spesso inconscio: è umano pensare che ciò che per noi è normale, debba essere stato considerato tale da tutti gli esseri umani in tutte le epoche storiche. Ma questo errore è clamoroso se compiuto dagli archeologi.

Uno dei periodi più studiati ultimamente in questo senso è la preistoria. Qui la mancanza di fonti scritte rende l’interpretazione dei reperti materiali assolutamente centrale.
Oggi alcune rappresentazioni delle società preistoriche fatte anche solo alcuni decenni fa sono molto contestate o ritenute ormai inaccettabili. L’idea per esempio che nei villaggi preistorici l’uomo si dedicasse alla caccia e la donna alla famiglia e alla raccolta di cibo non ha alcuna attendibilità scientifica. È oggi largamente accettata l’idea che le tribù preistoriche fossero poco numerose e che la sopravvivenza della comunità richiedeva che i ruoli ricoperti non avessero distinzione di genere. I padri trascorrevano molto tempo con la prole, anche raccogliendo erbe e radici, le madri e le ragazze cacciavano e pescavano insieme ai maschi, e all’occorrenza combattevano tutti/e contro animali o altre tribù.
Anche i lavori di casa pare che fossero distribuiti equamente.

Un altro esempio è il fatto che si dà quasi per certo che le rappresentazioni pittoriche all’interno delle grotte siano state rappresentate da artisti maschi, anche se viste le dimensioni delle mani “stampate” sulle pareti è molto più probabile che si trattasse di artiste femmine.
Oltre al focus sulla preistoria, la presenza femminile risulta sottostimata in quasi tutte le epoche storiche, questo perché spesso i pregiudizi sessisti fanno dare per scontato che determinati ruoli siano sempre stati una prerogativa maschile. Per esempio, a Roma il mestiere di gladiatore pare che fosse esercitato anche da numerose donne. Sono molte le fonti che parlano di combattimenti a cui prendevano parte professioniste, gladiatrici, ma non solo, sembra che anche matrone di alto rango non disdegnassero di combattere nell’arena. Le donne erano anche imprenditrici, spesso di successo: nel mondo romano uno dei settori in cui sembra che fossero più presenti era quello dell’edilizia, oggi considerato prevalentemente maschile. Sembra che le donne fossero spesso proprietarie di fabbriche, tegole e mattoni, come testimoniano numerosi bolli laterizi, marchi di fabbrica che portano i nomi delle proprietarie delle imprese.

Tutti questi dati non sono nuovi, spesso provengono da fonti letterarie conosciute da secoli e da ritrovamenti materiali rinvenuti da decenni, ma quel che impediva di leggerli correttamente era il pregiudizio sessista. Oggi grazie alla maggiore sensibilità sull’argomento è possibile invece formulare ipotesi più corrette sulla presenza femminile nel passato, e capire che l’idea che certi ruoli siano immutabili o fissati dalla natura, è in realtà frutto di una mentalità sviluppatasi solo in determinate epoche.

Molte delle ricostruzioni storiche a cui siamo abituati, non riflettono affatto la mentalità delle epoche antiche, ma spesso quella borghese del ‘900 in cui sono state pensate.
È ora di liberarci da queste interpretazioni errate, per conoscere davvero il nostro passato ed essere più liberi di vivere senza vecchi pregiudizi il nostro presente.

 

Tutor: Fabiana Salucci

Tirocinante: Bianca De Astis

 

Bibliografia:

– CONKEY, MARGARET W. & SPECTOR, JANET D. (1984). Advances in Archaeological Method and Theory || Archaeology and the Study of Gender, 1–38. doi:10.1016/b978-0-12-003107-8.50006-2.
– KURILA LAURYNAS (2015). The Accuracy of the Osteological Sexing of Cremated Human Remains: A Test Based on Grave Goods from East Lithuanian Barrows, 4: 821-828, Original scientific paper.Department of Archaeology, LithuanianInstituteHistory, Vilnius, Lithuania.
– Podcast – L’archeologia che smaschera stereotipi e pregiudizi sul ruolo delle donne nell’antichità(Galatea Vallio).
– https://www.bossy.it/cose-la-gender-archaeology.html
– https://www.archeostorie.it/pregiudizi-di-genere-nella-ricerca-archeologica/

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