La sessualità in Africa è un argomento complesso, che richiede un occhio più attento: si parla di sessualità africane considerando le differenze e le organizzazioni locali basate sull’etnia, l’età e il genere. È importante comprendere che gli africani si trovano spesso a confrontarsi con influenze culturali occidentali.
Le religioni tradizionali africane sono spesso viste come parte integrante del modo di vivere: nonostante non abbiano testi sacri, condividono alcune caratteristiche comuni con le grandi religioni monoteiste, tranne per il fatto che il dio supremo africano, a differenza dei suoi simili monoteisti nei quali il genere è maschile, di solito non ha genere.
Un punto di rottura significativo riguarda la visione del corpo femminile. Mentre nelle grandi religioni rivelate il corpo femminile è considerato sede di peccato e corruzione, nelle tradizioni africane viene celebrato per la sua bellezza e fertilità. La cultura è un’arena in continua evoluzione, dove vengono definiti identità pubbliche e private per soddisfare le esigenze di una comunità. Quindi, dove dovremmo collocare il giudizio?
È possibile affrontare la tematica della sessualità in Africa anche da un punto di vista positivo? È importante comprendere i connotati geopolitici delle pratiche sessuali, come ad esempio il gukuna in Ruanda, attraverso un contesto storico coloniale. Il Ruanda è una repubblica presidenziale a maggioranza cristiana, in passato è stato colonizzato dai tedeschi prima e dai belgi dopo. Le comunità ruandesi sono organizzate in clan e sottoclan, come gli Hutu, i Tutsi e i Twa.
Una delle pratiche più utilizzate in Ruanda è il gukuna.
Il gukuna è una pratica di modificazione genitale femminile che si svolge tra donne ed è diffusa nella regione dei Grandi Laghi, tra cui Ruanda, Uganda, Burundi e Congo. Questa pratica prevede l’allungamento delle piccole labbra genitali attraverso un massaggio reciproco. Ha effetti sociali e culturali potenti e duraturi, e occupa una posizione fondamentale nelle relazioni sessuali e non, essendo considerata sia benefica per l’eiaculazione femminile e il piacere, sia utile nella ricerca della maternità.
Attraverso il gukuna, le adolescenti ruandesi entrano nella vita sociale delle comunità, in un processo di adattamento del corpo che definisce l’identità di genere e i rapporti di potere all’interno del contesto femminile. Questa pratica limita anche il potere maschile in una società patriarcale, poiché viene eseguita in segreto, lontano dagli uomini. Il corpo femminile, per diventare pienamente parte del corpo sociale come sposa e madre, deve essere trattato e modellato culturalmente perché, a differenza del corpo maschile, non è considerato pronto. Il gukuna contribuisce alla costruzione di una femminilità socialmente accettata attraverso la modellazione di un dato biologico.
“La visione che oggi si ha del Gukuna” prosegue Fusaschi, professoressa di Antropologia all’università Roma3, “non è sempre stata la stessa, durante il periodo del genocidio gli uomini proiettavano attraverso lo stupro della donna, la conquista del territorio, definendo le donne ruandesi “stuprabili perché sempre pronte”. L’orrore arrivò a Butare, una cittadina del Ruanda nella primavera del 1994.
Gli squadroni della morte hutu, armati di machete e bastoni cosparsi di chiodi, erano avanzati per tutta la campagna uccidendo, saccheggiando e bruciando. La terza settimana di aprile, mentre il genocidio ruandese raggiungeva il suo apice, migliaia di cadaveri putrefatti giacevano per le strade di Kigali, la capitale del paese. Infuriato per la rivolta di Butare, il governo provvisorio del Ruanda inviò in missione Pauline Nyiramasuhuko, ministro della famiglia e della condizione femminile.
Dopo l’arrivo in città di Pauline, auto muniti di altoparlanti percorsero le strade annunciando che la Croce Rossa era arrivata in un vicino stadio per fornire aiuti alimentari e garantire un rifugio sicuro. Il 25 aprile migliaia di tutsi disperati si erano radunati nello stadio ma era una trappola e anziché ricevere cibo e riparo, i rifugiati furono circondati da miliziani estremisti: erano interahamwe. Le donne tutsi furono così separate dalla folla e trascinate in un bosco per essere violentate.
Comprensibilmente l’attenzione del mondo si è concentrata sulla dimensione del massacro, ma i pubblici ministeri e i giudici del Tribunale penale internazionale per il Ruanda (Tpir) ora cominciano a riconoscere un altro genere di orrore, lasciato nell’ombra. Anche se la maggior parte delle donne furono uccise prima di poter raccontare le loro storie, un rapporto delle Nazioni Unite ha concluso che durante il genocidio almeno 250mila ruandesi furono stuprate. Alcune furono penetrate con lance, canne di fucile, bottiglie o da stami delle piante di banane. Gli organi sessuali furono mutilati con machete, acqua bollente, acido e i seni asportati.
A peggiorare le cose, gli stupri, per lo più compiuti da molti uomini in successione, furono spesso accompagnati da altre forme di tortura fisica e furono eseguiti in pubblico per moltiplicare il terrore. Molte donne li temevano al punto da implorare di essere uccise. Spesso gli stupri erano un preludio alla morte, ma a volte le vittime non venivano successivamente uccise bensì ripetutamente violentate e lasciate in vita: l’umiliazione avrebbe così colpito non solo la vittima ma anche le persone a lei più vicine. Altre volte le donne erano usate come un altro tipo di strumento: vicina alla morte, o addirittura già cadavere, una donna veniva violentata pubblicamente come mezzo per unire i gruppi di interahamwe.
Ma l’esibizione pubblica e la distruzione non si fermavano all’atto dello stupro. Molte donne furono deliberatamente lasciate in vita solo perché morissero più tardi, lentamente. Due donne che hanno fornito informazioni riguardo gli stupri fuori Butare stanno morendo di AIDS. Hanno contratto la malattia attraverso gli stupri subiti. L’obiettivo più diabolico degli stupri di Butare fu trasmettere una forma di morte più lenta e straziante.
“Usando una malattia come un terrore apocalittico, come un’arma biologica, si annientano i genitori, si perpetua la morte di generazione in generazione”, dice Charles B. Strozier, psicoanalista e professore di storia al John Jay College of Criminal Justice di New York. “La strage continua nel tempo”.
L’uso dell’AIDS come arma contro le donne tutsi ha permesso ai magistrati di Arusha di considerare lo stupro come uno degli elementi principali del genocidio. “Il contagio da hiv è omicidio”, dice Silvana Arbia, procuratore del tribunale per il Ruanda. “L’aggressione sessuale è un atto di genocidio tanto quanto l’omicidio”.
Lo stupro di massa è un’arma di guerra fin dall’antichità: fu infatti Abraham Lincoln ad approvare le leggi che stabilirono la concezione moderna dello stupro come crimine di guerra. “Il codice Lieber fu rivoluzionario”, spiega Kelly Askin, direttore dell’Istituto internazionale per la giustizia penale (Cuny). “Prima i reati sessuali erano stati ampiamente ignorati”.
Il diritto internazionale si è mostrato più reticente sul problema. “Lo stupro era considerato una sorta di danno collaterale”, dice Rhonda Copelon, professore di diritto al Cuny. “Era visto come una componente inevitabile della cultura della guerra”. Dopo la seconda guerra mondiale gli stupri delle donne cinesi da parte dei soldati giapponesi furono perseguiti come crimini di guerra da un tribunale internazionale, anche se comunque lo stupro era perseguito solo accompagnato ad altri crimini violenti.
Nel 1946 lo stupro fu decretato crimine contro l’umanità da una legge promossa dagli Alleati e destinata ai tribunali che dovevano giudicare i crimini di guerra tedeschi: legge che non fu mai applicata. Solo nel 1995, il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, ha perseguito lo stupro come un grave crimine equivalente alla tortura.
Tirocinante: Marily d’Avolio
Tutor: Cristiana Sardellitti
Riferimenti:
• Melany Soto, (2020,17 novembre) disponibile dal 17 novembre 2020 da https://www.piuculture.it/2020/11/la-pratica-del-gukuna-in-ruanda-tra-identita-e-ruoli-di-genere/
• Peter Landesman, (2019, 21 giugno) disponibile dal 21 giugno 2019 da https://www.internazionale.it/notizie/peter-landesman/2019/06/21/ruanda-stupro-arma-guerra
• F. Adele Casale, Elisa Chiara, (2020,2 luglio) disponibile dal 2 luglio 2020 da https://www.amistades.info/post/il-gukuna-viaggio-tra-identit%C3%A0-e-ruoli-di-genere-nel-ruanda-contemporaneo