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«L’assistenza alla sessualità a persone con disabilità rappresenta un concetto che racchiude allo stesso tempo “rispetto” ed “educazione”, che solo per un paese civile può rappresentare la massima espressione del “diritto alla salute e al benessere psicofisico e sessuale”» [1].
Già nel 1993 l’Assemblea Generale dell’ONU approva un documento in cui a tutti i portatori di handicap viene riconosciuto il diritto di sperimentare la propria sessualità, mentre nel 2006 l’OMS, nella Dichiarazione dei Diritti sessuali, afferma ancora più chiaramente che è diritto di tutti gli esseri umani, liberi da coercizione, discriminazione e violenza, raggiungere il più alto livello di salute sessuale, comprendendo l’accesso ai servizi sanitari per la salute sessuale e riproduttiva, ricercare, ricevere e divulgare informazioni relative alla sessualità, ricevere un’educazione sessuale, avere rispetto per l’integrità fisica, scegliere il proprio/la propria partner, decidere se essere o meno sessualmente attivi; intraprendere relazioni sessuali consensuali, contrarre matrimonio consensuale, decidere se, e quando, avere figli e ricercare una vita sessuale soddisfacente, sicura e piacevole. In Italia, invece, solo ultimamente si inizia a trattare più spesso l’argomento [2].

È in corso un cambiamento di tipo culturale, anche attraverso i mass-media che sono ora molto attivi nel trattare questa tematica sotto diverse sfaccettature: articoli di giornali, libri, persino film, contribuiscono ad affrontare l’argomento con l’obiettivo di informare e di sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche i disabili stessi e i loro familiari. Si inizia molto lentamente a non considerare più il disabile come una sorta di “angelo” non interessato alla sessualità o, al contrario, come una specie di “mostro insaziabile” [3].

Tuttavia sussistono ancora barriere più o meno evidenti che impediscono lo sviluppo sessuale ed emotivo del disabile e quindi il suo benessere: il ritardo o la mancanza di socializzazione delle proprie esperienze emotive e sessuali, la segregazione in speciali spazi educativi, l’assenza di educazione sessuale pubblica, le barriere fisiche che rendono inaccessibili spazi e informazioni, la difficoltà di espressione della propria sessualità, l’assistenza personale e i bisogni sessuali. Quindi la consapevolezza e il riconoscimento dei bisogni del disabile da parte dell’opinione pubblica non è sufficiente in tutte quelle situazioni in cui i caregiver non hanno le capacità di affrontare concretamente l’argomento; spesso si trovano infatti ad affrontarlo, solo nel momento in cui diventa una vera e propria emergenza e senza gli strumenti adeguati. Ciò porta a tentare di risolvere la cosa con l’attuazione di interventi mirati ad arginare il problema, quali, ad esempio, il ricorso al soddisfacimento dei bisogni sessuali tramite la prostituzione o attraverso l’intervento fisico dei caregiver stessi, la somministrazione di farmaci o la chirurgia per eliminare il bisogno stesso alla radice, imponendo punizioni o strategie inibitorie e compensatorie [4].

Per aiutare disabili e familiari esiste la figura dell’assistente sessuale, figura non ancora riconosciuta legalmente in Italia, e in riferimento alla quale nel 2014 viene proposto un Disegno di Legge, finalizzato a regolamentarne il profilo professionale. Tra i promotori del DdL vi è l’Associazione Love Giver – Comitato Promotore per l’Assistenza Sessuale [5], il cui progetto è incentrato sulla figura dell’O.E.A.S. (Operatore all’Emotività, all’Affettività e alla Sessualità).

Tutor: Fabiana Salucci
Tirocinante: Filomena Giordano

 

Riferimenti
[1] Quattrini, F., Ulivieri, M. (2014). Cosa è (e cosa non è) l’assistenza sessuale. In Ulivieri, M. (a cura di), LoveAbility. L’assistenza sessuale per le persone con disabilità. Trento: Erickson.

[2, 3, 4] https://sessuologiaclinicaroma.it/sessualita-e-disabilita/

[5] Bocci, F., Isidori, M. V., & Guerini, I. (2019). Sessualità e disabilità. Una esperienza di formazione-ricerca intorno alla figura e alla funzione dell’Assistente sessuale. Italian Journal of Special Education for Inclusion. DOI: 10.7346/sipes-01-2019-17

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