Suicidio nella comunità LGBTQIA: Adolescenti in pericolo

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il suicidio come un atto di eliminazione di se stesso, deliberatamente iniziato ed eseguito dalla persona interessata, nella piena consapevolezza o aspettativa di un suo risultato fatale. Quando esso non ha l’esito sperato da colui o colei che lo ha messo in atto, il gesto prende nome di parasuicidio o tentativo di suicidio; una pratica più frequente tra i giovani rispetto al suicidio vero e proprio. La stessa OMS ha stimato che sono circa 800.000 le persone che decidono di togliersi la vita ogni anno: un suicidio ogni 40 secondi, un parasuicidio ogni 3 secondi.

Tra le categorie più a rischio suicidio troviamo la comunità LGBTQIA, acronimo che unisce in un unico gruppo lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer, intersessuali e asessuali. Studi e ricerche hanno ripetutamente dimostrato come gli appartenenti a questa macrocategoria sociale siano significativamente più inclini a tentare e/o a portare a termine il suicidio rispetto agli eterosessuali (dalle due alle tre volte più frequenti); osservazione che purtroppo viene spesso confermata dai fatti di cronaca. A cosa è dovuto ciò? Il suicidio, in generale, non può essere ascritto a una sola causa o a un unico motivo; questo fenomeno sembra piuttosto derivare da un insieme di fattori psicologici, biologici, socioculturali e ambientali. Nel nostro specifico caso, ad esempio, vivere in una società profondamente eterosessista, all’interno della quale viene denigrato ogni tipo di orientamento, identità o condizione sessuale alternativa alla consueta eterosessualità, potrebbe portare un individuo a sviluppare un senso di minoranza e a provare sulla propria pelle quella che nel linguaggio tecnico viene definita stigmatizzazione. Nella vita quotidiana le persone appartenenti alle categorie precedentemente citate possono incontrare una serie di difficoltà che possono ultimare in un vero e proprio isolamento sociale, soprattutto se questi stessi soggetti non sono sostenuti dalla famiglia e/o dall’ambiente circostante che negli anni si sono costruiti. Questa situazione di disagio può essere talmente devastante che l’individuo stesso potrebbe maturare conseguentemente la cosiddetta “ideazione suicidaria”, ossia l’insorgenza di pensieri che possono spingere una persona a uccidersi.

Fin dai primi studi epidemiologici sull’argomento, è risultato evidente come i tassi di suicidio e tentato suicidio tra gli adolescenti della comunità LGBTQIA fossero significativamente più elevati rispetto al resto della popolazione eterosessuale coetanea. Il periodo dell’adolescenza è un lasso di tempo difficile e ricco di insidie, durante il quale ogni ragazzo è impegnato a vivere e ad accettare tutta una serie di cambiamenti che interessano lo sviluppo fisiologico, cognitivo e sociale. Tra le varie problematiche vi è il consolidamento dell’identità sessuale. Per alcuni, percepire di avere un orientamento e/o comportamento sessuale non consono a quello che la società si aspetterebbe da loro può significare sentirsi diversi, inadeguati e se inoltre si è circondati da un nucleo familiare ostile, questo senso di vergogna e di colpa potrebbe intensificarsi ulteriormente. La difficoltà nel portare a termine questo processo di riconoscimento e accettazione di sé può, in certi casi, aumentare il rischio di sviluppare determinati disturbi psicologici (come per esempio la depressione o i disturbi alimentari, entrambi tipici della fascia d’età trattata), preparando così il terreno per i comportamenti a rischio, tra i quali il suicidio.

Fonti:

Tutor: Francesca Mamo

A cura dei tirocinanti IISS:

Alessandro Petroni

Francesca Picardi

Giuseppe Massaro

Laetitia Bollinger

Valentina Arachi

Valentina Ciaccio

Veronica Fiore

Besarta Taci

Sara Sellaro

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