in Devianza e Parafilie, Sexlog

Con il termine “coprofilia” si fa riferimento al piacere di annusare, guardare e manipolare le feci. La “coprofagia” è invece definita come una manifestazione psicopatologica consistente nella deliberata ingestione di materiale fecale. Queste due parole si riferiscono quindi a due fenomeni distinti, ma in qualche modo correlati: la coprofilia è una fantasia ed un comportamento sessuale, mentre la coprofagia rappresenta una pratica più estrema e spesso messa in atto in caso di grave ritardo mentale, psicosi, schizofrenia o altre forme avanzate di decadimento mentale.

Nel DSM-5 non è presente una voce specifica per la coprofilia: questa viene infatti inclusa nella categoria più ampia di “Disturbo Parafilico Altro”, che comprende parafilie non nominate altrove nel manuale. Gli individui che presentano questa preferenza sessuale traggono eccitazione dall’osservare e manipolare le feci, oppure dal fantasticare che un’altra persona compia tali attività. Talvolta coprofilia e coprofagia possono coesistere: l’ingestione di materiale fecale è stata osservata in alcuni casi di persone coprofile. Non è semplice ottenere dati e informazioni su questi comportamenti poiché, come confermato da una revisione della letteratura a riguardo del 2024, gran parte delle evidenze provengono da singoli casi clinici, studi poco sistematici e rapporti aneddotici.

Un esempio è un case report di Wise e colleghi del 1995: il caso clinico in questione è un uomo di 47 anni con intelligenza normale e che non presenta psicosi. Il soggetto manifesta un particolare fetish, ovvero il fecal smearing, una forma di coprofilia consistente nello spalmare le feci sulle superfici o sulla propria persona. È doveroso precisare che anche questo comportamento, oltre ad essere una manifestazione parafilica, è osservato specialmente in individui con autismo o che presentano ritardi dello sviluppo. Il paziente in questione manifesta sintomatologia depressiva ed abuso di alcol. Nel corso del tempo, si è verificata un’escalation del fetish, e il paziente ha iniziato a mostrare comportamenti coprofagi. L’articolo mette in evidenza come, probabilmente, fattori prolungati di depressione e consumo incontrollato di alcolici abbiano facilitato l’evoluzione della parafilia. Gli autori suggeriscono che i sentimenti di disperazione, l’eventuale senso di colpa e l’isolamento abbiano reso il soggetto più vulnerabile, causando così l’intensificazione delle manifestazioni parafiliche. L’intervento terapeutico non si è concentrato solo sulla coprofagia, ma è andato a trattare i sintomi originariamente mostrati dal paziente: l’uomo ha seguito un percorso di psicoterapia con supporto emotivo, ha partecipato ad incontri di Alcolisti Anonimi e, infine, ha assunto dei farmaci antidepressivi. Dopo quasi due anni di trattamento, il comportamento coprofago è cessato. Ciò fa riflettere su quanto il benessere psichico generale e la presenza di comorbilità siano fattori chiave nella gestione dei comportamenti parafilici.

Questo caso è clinicamente significativo in quanto si tratta del primo caso documentato di coprofagia in un adulto non psicotico e con un’intelligenza nella norma. Come già accennato in precedenza, la letteratura su questa parafilia è insufficiente, in quanto il comportamento in questione viene troppo spesso confuso con la coprofagia e studiato quasi esclusivamente in persone affette da disturbi psicotici, ritardo cognitivo o patologie degenerative. Non viene di conseguenza messo in luce l’aspetto sessuologico di questa tendenza.

Ignorare o negare l’approfondimento clinico e scientifico di alcune parafilie – solo perché troppo estreme e tabù – può avere conseguenze estremamente gravi sulla salute psicofisica degli individui coinvolti e sulla qualità dell’assistenza che viene a loro fornita. Il silenzio e lo stigma portano il soggetto a non parlare della propria condizione – aumentando il rischio di isolamento e quindi di insorgenza di ulteriori problematiche – o a mascherarla di fronte al personale sanitario. Ciò impedisce la formulazione di una diagnosi adeguata e l’elaborazione di percorsi terapeutici efficaci, permettendo al paziente di perseverare in comportamenti potenzialmente dannosi e auto-distruttivi.

Risulta perciò di vitale importanza implementare la divulgazione scientifica sulla coprofilia e capirne i fattori sia psicologici che biologici. Solo in questo modo sarà possibile promuovere, oltre che una visione empatica e informata della complessità della sessualità, la creazione di protocolli di trattamento mirati e basati sull’evidenza.

TIROCINANTE: Nadia Fabbricatore

TUTOR: Maurizio Leuzzi

Bibliografia

Arnone, Jacqueline M., et al. «Coprophilia and Coprophagia: A Literature Review». Journal of the American Psychiatric Nurses Association, vol. 30, fasc. 1, gennaio 2024, pp. 8–16. DOI.org (Crossref), https://doi.org/10.1177/10783903231214265

«Coprofilìa – Significato ed etimologia – Vocabolario». Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/coprofilia/

«Coprofagia – Enciclopedia». Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/coprofagia_(Dizionario-di-Medicina)

Wise, Thomas N., e Rlchard L. Goldberg. «Escalation of a Fetish: Coprophagia in a Nonpsychotic Adult of Normal Intelligence». Journal of Sex & Marital Therapy, vol. 21, fasc. 4, dicembre 1995, pp. 272–75. DOI.org (Crossref), https://doi.org/10.1080/00926239508414647

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