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La pedofilia è un tema delicato, che certamente attiva moltissimo a livello emotivo, ma che merita e necessita comprensione. Partiamo dalla definizione del DSM- 5 (APA,2014):
• Eccitazione sessuale ricorrente e intensa, manifestata attraverso fantasie, desideri o comportamenti, per un periodo di almeno 6 mesi, che comporta attività sessuale con un bambino in età prepuberale o con bambini (in genere sotto i 13 anni di età).
• L’individuo ha messo in atto questi desideri sessuali, oppure i desideri o le fantasie sessuali causando marcato disagio o difficoltà interpersonali.
• L’individuo ha almeno 16 anni di età ed è di almeno 5 anni maggiore del bambino o dei bambini da cui è attratto.
La diagnosi non è applicabile ad un individuo in tarda adolescenza coinvolto in una relazione sessuale con un individuo di 12-13 anni.

Capire la pedofilia e le dinamiche intrapsichiche che cela può non essere facile, ma diversi Autori hanno dato il loro contributo.
La teoria psicoanalitica classica ritiene che la pedofilia sia il risultato di una regressione o fissazione a fasi pre-edipiche dello sviluppo, solitamente a causa di un’esperienza traumatica o dell’aver vissuto la propria sessualità in un ambiente eccessivamente restrittivo. In particolare, Freud e Kernberg (1927, 1938, 1992) ritengono che il tutto si basi su un’estrema angoscia di castrazione che non consente al soggetto di completare lo sviluppo psicosessuale.

Affrontare un partner adulto, di conseguenza, è impossibile per cui il soggetto ripiega su un partner percepito come più debole, indifeso, dunque meno angosciante: un bambino. Secondo più recenti teorie, a seconda del livello a cui si ha la fissazione o regressione il desiderio pedofilico può essere occasionale o ossessivo.
Secondo Socarides “il meccanismo più importante nella pedofilia omosessuale è l’incorporazione del bambino maschio al fine di rinforzare il senso di mascolinità, sconfiggere l’ansia della morte, rimanere giovani per sempre e poter ritornare al seno materno.”

In virtù di questo, Gabbard (1995) nota come la scelta dell’oggetto libidico sia catartica e coerente con l’identificazione con un/una padre/madre-aggressore.

La visione di Stoller (1975, 1985), per cui alla base delle perversioni vi è desiderio di vendetta, porta a ritenere che l’atto perverso, dunque anche pedofilo, serva all’attore per esperire un senso di trionfo su una figura genitoriale abusante. Ed in effetti-come Gabbard nota nel 1995- il bisogno di dominare e controllare le loro vittime manifestato dai pedofili serve proprio a contrastare l’impotenza vissuta durante la fase edipica. Inoltre, i pedofili sono spesso state vittime di abusi sessuali durante la loro infanzia; dunque, la conquista sessuale di un altro bambino consente di trasformare il loro essere vittime passive in essere aggressori attivi (Gabbard, 1995).

La psicologia analitica Junghiana ha dato pochi contributi allo studio delle parafilie, fra questi emerge il pensiero di Gordon (1976) che tratta la pedofilia “normale”, ovvero una forma di pedofilia positiva fin quando rimane circoscritta in uno specifico contesto. Secondo l’Autore, i pedofili sono stati oggetto di seduzione inconscia da parte dei loro genitori, il che li ha portati a divenire maturi e riflessivi, così da difendersi. Questa difesa, però, viene meno quando delle situazioni turbano il bambino e questo prova panico.

Da adulto il soggetto proverà attrazione verso i bambini per via della necessità di conservare la purezza e l’innocenza dell’infanzia sottrattagli a suo tempo; quando qualcosa turba il soggetto questo inverte sadomasochisticamente i ruoli, divenendo l’abusante.

Alcuni Autori hanno ritenuto che vi fosse una circolarità nel rapporto abusato-abusante per cui la vittima, in futuro, diventerà un nuovo aggressore (Groth, 1979). Garland e Dougher (1990) coniano l’espressione “teoria dell’abusato abusatore”. Nei suoi reati l’adulto ripropone l’abuso vissuto: dettagli, azioni, età della vittima consentono di ricreare la scena vissuta ed anche l’esperienza emotiva vissuta, che questa volta però diventerà l’esperienza della vittima. Secondo questa teoria le vittime si identificano nell’aggressore.

Un’alternativa viene fornita da Groth, secondo cui la motivazione all’agire risiede nella necessità di soddisfare i bisogni non sessuali, dunque, l’agito pedofilo si configura come un “atto pseudosessuale”.

Un’ultima prospettiva coinvolge le famiglie: la teoria dell’identificazione parentale sembrerebbe indicare, infatti, che gli aggressori sessuali di solito provengono da famiglie disagiate e devianti in cui hanno difficoltà ad identificarsi con i propri genitori e ciò, anche stando alle teorie freudiane sull’identificazione con le figure parentali, potrebbe avere un ruolo nello sviluppo di un disordine psicosessuale.

Tutte queste teorie si sono mostrate valide seppur insufficienti: ad oggi si riconosce che l’eziopatogenesi della pedofilia non può essere tanto semplice e lineare, ma diversi fattori devono aver interagito per dare origine a questo tipo di esito. Di sicuro però, la psicoanalisi consente di avanzare ipotesi almeno sulle cause psicologiche.

Tirocinante: Valeria Manni
Tutor: Maurizio Leuzzi

Bibliografia
-American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. Raffaello Cortina Editore, 2014.
-Garland, R.J. & Dougher, M.J., The abused/abuser hypothesis of child sexual abuse: A critical review of theory and research, in Feierman, J. (ed.), Pedophilia: Biosocial Dimensions, New York: Springer-Verlag, 1990, pp. 488-509.
-Groth N., Il trauma sessuale nella vita di violentatori e corruttori di fanciulli, in Gulotta G., Vagaggini M., (a cura di), Dalla parte della vittima, Giuffrè, Milano, 1981.

Sitografia
https://www.psychomedia.it/pm/human/crimin/aspetti.htm

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