La violenza perpetrata nei confronti dei bambini è un fenomeno antichissimo, che per molto tempo è stato accettato e giustificato culturalmente, sino a quando la Carta Costituzionale del 1793 proclamò che «il bambino non possiede che diritti» (Montecchi F., 1994, p. 25).
Tra la fine dell’800 e metà del ‘900, diversi studi (Tardieu, 1860; Silverman, 1953; Kempe, 1962: “batter child syndrome/child abuse and neglect”) descrissero l’esistenza di una vera e propria sindrome che accuserebbe il bambino maltrattato, affrontando le differenti forme di maltrattamento e abuso fisico, sessuale, psicologico, nonché l’importanza dell’interrogatorio nei confronti dei genitori, i quali spesso manifesterebbero difficoltà e reticenze nel ricostruire l’evento perpetrato a danno di un figlio. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’abusante è un membro del nucleo famigliare al quale il minore appartiene e, se è vero che più spesso avviene ad opera di figure di sesso maschile, non è raro che a perpetrarlo siano donne e, nello specifico, madri.
Generalmente si realizza un abuso ogni volta che un minore non viene rispettato nei suoi diritti, nella sua esistenza e nella sua realtà psicologica. Diventa importante classificarlo nelle sue differenti forme per consentire di riconoscerlo, denunciarlo e prevenirne di nuovi promuovendo una maggiore attenzione e protezione all’infanzia. Molto spesso, siamo davanti a realtà sommerse e poco denunciate perché negate o difficilmente rilevabili nelle situazioni dubbie in cui non sono evidenti indicatori e segni certi di avvenuto abuso. Ad esempio, nello specifico dell’abuso sessuale, le attività poste in essere non riguardano solamente l’atto penetrativo, ma possono riguardare anche carezze, manipolazioni di tipo masturbatorio, pratiche genitali inconsuete e toccamenti ripetuti nel tempo (lavaggi frequenti, applicazioni di creme, ispezioni continue), abusi sessuali assistiti (il minore assiste alle pratiche sessuali tra genitori o abusi su altri membri della famiglia; visione di materiale pornografico), dunque tutta una serie di azioni che coinvolgono la sfera intima del minore, che diventa oggetto di gratificazione sessuale per l’abusante. In questa forma di abuso vi è un coinvolgimento o la costrizione del minore in attività di natura sessuale per le quali non è in grado di mostrare consenso e piena consapevolezza né per età né per il ruolo, in quanto soggetto immaturo e dipendente (Petrone L., Troiano M., 2005). Non sempre vi è l’utilizzo del contatto fisico violento (a meno che l’abusante non mostri intenti sadici), soprattutto nei primi approcci nei quali non ci sarebbe contatto oppure solamente una sorta di tenera ed amorevole vicinanza. In particolare, diventa davvero complicato riconoscere la violenza quando ad abusare è una madre, sia perché ad essa viene riconosciuto il pieno diritto di interazione con il corpo del figlio sin dalla nascita, sia perché il bambino considera la figura care giver come suo punto di riferimento affettivo e ritiene l’approccio materno quale unica forma di manifestazione di cura e amore, proteggendone un’immagine idealizzata, scegliendo il silenzio e sacrificando se stesso.
Le figure genitoriali rappresentano il primo importante scambio comunicativo, affettivo e sociale per il bambino e il tipo di attaccamento e di accettazione che loro comunicano sono determinanti per la crescita fisica, cognitiva ed emotiva del minore. Se è venuta meno una sana interazione ed il bambino non è cresciuto in un clima di fiducia ed amorevole attenzione, sarà più facilmente esposto a fattori di rischio e di possibile maltrattamento.
Il minore a rischio potrebbe essere un bambino solo, carente di affetto e frustrato, che non si è potuto identificare col genitore di riferimento (in particolare con la madre, spesso assente o inadeguata) perché gli è mancata l’attenzione e l’interazione. È un bambino che ha conosciuto la svalorizzazione, ha scarsa fiducia di sé e degli altri dunque incapace di relazionarsi, facilmente in regressione, disorientato o soffocato dalla prepotenza e da un’educazione troppo severa, che non lascia spazio all’autoaffermazione e al riconoscimento sociale. È un bambino trascurato, che più probabilmente ha vissuto l’incoerenza e la violenza delle figure adulte (Petrone L., Troiano M., 2005). Sono state, inoltre, individuate situazioni particolari e riferibili entro il primo anno di vita del bambino e immediatamente dopo, che potrebbero rappresentare, in un ambiente particolarmente problematico, fattori di rischio e di facilitazione al comportamento abusante. Esse riguardano: la nascita prematura o sottopeso; il ricovero ospedaliero; patologie organiche frequenti oppure problemi psicologici e patologie psichiatriche; difficoltà di addormentamento o il ritmo del sonno invertito; difficoltà nello svezzamento; acquisizione ritardata del controllo sfinterico; più spesso una precoce separazione tra la madre e il bambino, che non consente l’instaurarsi o il rafforzarsi della relazione e, dunque conduce la figura care giver a negare il minore come individuo e rappresentarlo come oggetto estraneo, sul quale proiettare i traumi infantili, riversare la propria rabbia, manifestare perversamente il dominio.
Nell’immaginario comune ci si aspetta che un bambino violato sappia chiedere aiuto o che le conseguenze fisiche e psicologiche dell’atto siano subito evidenti. Invece non è semplice riconoscere un abuso sessuale su un minore e, come dimostrato da studi di FinKelhor (1990) et al. sugli effetti a breve e lungo termine dell’abuso sessuale, può accadere che, per alcune delle vittime, lo status evolutivo e di adattamento sembri raggiungere complessivamente un buon livello, rimanendo asintomatici per lungo tempo.
Ad oggi, oltre ad una serie di indicatori fisici, comportamentali, cognitivi, emozionali per riconoscere l’abuso (ma che non vengono considerati certi e sicuri), sono stati segnalati alcuni altri probabilmente maggiormente rivelatori nei casi di sospetto abuso. Come accade spesso negli abusi intrafamiliari, al minore viene imposto di mantenere il segreto. Il segreto sarà tanto più custodito, quanto più saranno stati forti l’atteggiamento seduttivo, complice dell’abusante e la capacità di suscitare nella vittima una partecipazione attiva. Altre volte, il segreto sarà alimentato dalle minacce e dall’aggressività dell’abusante. Scegliere di rimanere in silenzio significherà per il minore non tradire il genitore abusante e non diventare il responsabile del disfacimento familiare. Allo stesso tempo, non comunicando, il minore spera di dimenticare e rimuovere la sua sofferenza e l’accaduto in una dimensione del pensato-sognato (Petrone L., Troiano M., 2005). Viene utilizzata come espressione comunicativa maggiormente rappresentativa, la comunicazione non verbale: il bambino spesso è agitato o eccitato, potrebbe manifestare comportamenti seduttivi eccessivi o fare giochi sessuali inadeguati per l’età; potrebbe presentare comportamenti regressivi (enuresi, encopresi, difficoltà nel linguaggio ecc.), disturbi nell’apprendimento e crisi relazionali che alimenterebbero quello che Neumann ha definito “senso di colpa primario”, che paralizzerebbe il minore, facendolo sentire inadeguato e bloccandolo nelle relazioni.
Tra gli indicatori cognitivi invece risulterebbero le conoscenze sessuali inadeguate per l’età, confusione sulle norme relative al comportamento sessuale o associazioni negative legate all’attività sessuale. Tra gli indicatori fisici comparirebbero alcuni evidenti (deflorazione, ecchimosi e lividi nella zona perineale, dilatazione vaginale o uretrale ingiustificata ecc.) ed altri più equivoci (arrossamenti e infiammazioni aspecifiche localizzate, difficoltà nel deambulare o nel mantenere una posizione seduta, ecc.).
Una diagnosi di abuso può essere eseguita correttamente se precedentemente viene effettuata un’accurata anamnesi, un’attenta valutazione psicologica del minore e del racconto fornito dallo stesso o da colui che denuncia, oltre che un’attenta valutazione delle situazioni vissute e del contesto in cui si colloca il minore. Spesso ci troviamo di fronte a realtà difficilmente accertabili, soprattutto se la valutazione viene basata su un unico segnale o comportamento sospetto. Ad esempio, l’assenza frequente di segni fisici e la difficoltà che il minore può incontrare nell’esprimere verbalmente il trauma, rende complicato l’accertamento e il racconto del minore rischia di essere trascurato.
L’abuso è una realtà spesso negata dalla stessa vittima e dalla società e purtroppo diventa visibile solamente a chi si rende attento, disponibile e capace di comprenderla. Occorre educare ad una maggiore sensibilità e attenzione ai temi dell’infanzia non solo le diverse figure professionali che si occupano del benessere e della valutazione familiare e dell’infanzia, ma anche le famiglie e gli organi istituzionali preposti.
Tirocinante: Antonella Lolaico
Tutor: Fabiana Salucci
BIBLIOGRAFIA
Finkelhor D. (1993) Impact of sexual abuse on children. A review and synthesis of recent empirical
studies, in Psychological Bulletin.
Kempe R. S., Kempe C. H. (1989) The Battered Child Syndrome, in Jama, 1962; traduzione italiana: Le violenze sul bambino, Sovera Multimedia, Roma, 1989.
Montecchi F. (1994) Gli abusi all’infanzia, La Nuova Italia Scientifica, Roma.
Montecchi F. (2015) Dal bambino minaccioso al bambino minacciato. Gli abusi e la violenza in
famiglia: prevenzione, rilevamento e trattamento, Franco Angeli.
Petrone L., Troiano M., (2005) E se l’orco fosse lei? Strumenti per l’analisi, la valutazione e la
prevenzione dell’abuso al femminile con un nuovo test per la diagnosi, Franco Angeli.