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In effetti, non sono altro che esseri umani” è la conclusione di Glen O. Gabbard (2017), in merito alle persone degli psicoterapeuti, nel suo testo dedicato all’argomento.

Parliamo di violazione del setting, in psicoterapia, nel momento in cui vengono infrante le norme che regolano il rapporto psicoterapeutico. Tale violazione può avvenire da parte di tutti i partecipanti, dunque sia da parte del/dei paziente/i, che dello psicoterapeuta. Nel presente articolo saranno trattate le violazioni da parte di quest’ultimo. Ma cos’è il setting?

Intendiamo per setting lo spazio sia fisico (la stanza; l’orario e il giorno specifici della terapia) che psichico (la disponibilità e la motivazione reciproca dei partecipanti) una sorta di cornice terapeutica.

Il setting è regolato da norme riguardanti il rispetto degli orari e dei pagamenti, la natura dei contatti dentro e fuori dalle sedute, il segreto professionale e l’asimmetria relazionale che il terapeuta deve garantire (è quest’ultimo che deve aiutare e mai viceversa).

Il setting viene dunque a configurarsi come uno spazio, fisico e mentale, delimitato da regole, in cui i partecipanti, sentendosi al sicuro, possono ‘mettersi in gioco’.

Una psicoterapia può dirsi creativa e curativa finché il suo spazio rimane simbolico. Quando avviene, invece, una violazione continuativa e ripetitiva delle regole, e non viene discussa, il processo diventa dannoso.

In che modo il terapeuta può commettere una violazione della cornice terapeutica? Vi sono diversi tipi di violazione e diversi livelli di gravità. Lo psicoterapeuta viola il setting dal momento in cui:

  • non presta attenzione all’orario ed al giorno concordati, dunque arriva in ritardo o dimentica la seduta;
  • non invia feedback d’alcun tipo al paziente o, al contrario, dà consigli, criticando e colpevolizzando il paziente e biasimandone, inoltre, familiari, amici e/o partner;
  • trasforma il setting in uno spazio riservato all’elogio di sé (ricordiamo che lo spazio è riservato al solo paziente) o ad i propri interessi, dunque telefona, fuma, etc., non prestando attenzione al paziente;
  • opera delle discriminazioni in base alla religione, all’etnia, alla nazionalità, all’estrazione sociale, allo status socio-economico, al sesso e/o all’orientamento sessuale del paziente;
  • usa la propria influenza per modificare le convinzioni politiche, religiose e/o l’orientamento sessuale (le cosiddette ‘terapie riparative’) del paziente, cercando di imporre i propri valori;
  • mantiene il paziente in una condizione di dipendenza (le celebri ‘terapie infinite’);
  • non mantiene il segreto professionale;
  • effettua interventi di psicoterapia individuale con persone che hanno tra loro una relazione significativa;
  • prende in carico persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative;
  • abusa sessualmente del paziente; perché, in una relazione asimmetrica, come inizialmente specificato, intrattenere rapporti di natura sessuale con un/una paziente equivale ad un vero e proprio abuso.

È indispensabile, affinché il terapeuta eviti di commettere tali violazioni, in primis che sia professionalmente preparato ed a conoscenza del proprio Codice Deontologico; in secondo luogo, è necessario che abbia intrapreso un proprio percorso psicoterapeutico e che svolga regolarmente la supervisione o l’intervisione dei casi con altri professionisti. Perché se è vero che si tratta pur sempre di un essere umano, “dalle sue mani” nell’arco della propria vita professionale passeranno centinaia d’altre vite e di tale onore ed onere egli stesso deve rendersi degno e responsabile.

Tirocinante: Tjuana Foffo

Tutor: Fabiana Salucci

BIBLIOGRAFIA

  • Gabbard, G. O. (2017). Violazioni del setting. Raffaello Cortina Editore.

SITOGRAFIA

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